Quando Van Gogh dipingeva il cielo

Van Gogh fino a oggi 8 aprile è in mostra a Vicenza.

Cioè, lui di persona a Vicenza non c’è, ma i suoi quadri sì, e quindi sì, anche lui, se ti avvicini alla tela, se la respiri.

Il respiro della tela è un procedimento particolare che riporta in vita il pittore e non tutti lo sanno fare, però ci si può provare, perché come tutte le cose un po’ è predisposizione, un po’ apprendimento. Dopo un po’ che respiri, se ti viene voglia di tagliarti un orecchio, vuol dire che sei abile e stai resuscitando lo spirito del pittore.

Chissà se Van Gogh è mai passato per Vicenza. Con il corpo, dico. Penso che le colline gli sarebbero piaciute. Forse le ville palladiane un po’ meno, con quell’impostazione così classica e seriosa. Ma Vicenza è una città piena di fascino, anche se quando uno ci arriva telefona subito al suo gatto per sentire se stia bene.

vicentini magnagati

vicentini magnagati

La mostra.

L’azzurro e il giallo, luminoso e dorato, potrebbero essere i colori di un atleta nazionale medagliato, invece sono i colori più belli dell’olandese, forse i più utilizzati. I cappelli, le cipolle, le patate, i campi di grano, i cieli, gli abiti, le notti dai grandi occhi stellati.

Il suo mondo è fatto di teste grosse, nasi adunchi, zoccoli di legno, volti raramente belli, che conoscono solo fatica e miseria. I contadini con il braccio dietro il corpo forse stanno per gettare una manciata di semi fra le zolle, forse stanno caricando un pugno da rifilare al mondo. I sentieri rosa e i tronchi ramati come le cupole vicentine sono il mondo che vorremmo, che non sarà forse il nostro, ma che sicuramente esiste in un’altra galassia.

un'altra galassia

un’altra galassia

Così ho pensato che anch’io volevo essere Van Gogh e mi sono messo a dipingere le pareti della rimessa, che non è proprio la stessa cosa, giusto perché uso la pittura murale, e poi perché non potrei portare una rimessa in mostra alla basilica palladiana; d’altra parte è scomodo far venire i visitatori dentro la rimessa di casa, senza contare il prezzo del biglietto: cosa costa, una tariffa oraria per parcheggio al coperto?

Ho comperato anche un cappello come quello di Van Gogh, una pipa come quella di Van Gogh, un po’ di pennelli a onda, per fare le pennellate a onda, e predico qui e là, quando ho tempo, proprio come faceva lui, ma con scarsi risultati. Mi dicono che sono un imbianchino, che sono più bravo col pennello con le parole. Allora li porto nella mia rimessa e si ricredono: no, forse con le parole va meglio.

Sono fermamente convinto che nella vita bisogna avere dei miti, non solo nell’infanzia, ma anche nella maturità. Ho avuto tanti miti, Virgilio Lilli, Uto Ughi, Ernest Hemingway, Dino Buzzati, Glenn Gould, nel senso che volevo essere come loro, dopo di che non importa se si dipinge un garage o se si suona un pianoforte Casio, è la meraviglia del possibile che spinge il mondo. Vincent, quando frequentava i musei parigini, non sognava di entrare un giorno in un museo? Ha fatto di più, è entrato dentro di noi, come tutti i miti che ci portiamo dentro e che riemergono talvolta con violenza, dopo periodi di quiescenza di durata variabile.

“Sono afflitto, ma sempre lieto”, diceva lui e insieme a lui suore, testi sacri e innumerevoli miscredenti e atei, perché l’afflizione si accompagna alla letizia, sono sposati da sempre. Le opere del pittore non sono letizia e afflizione? Non lo è, la nostra vita? Se entri nella mia rimessa, non pensi di trovarci letizia e afflizione, giallo e azzurro, campi e cielo, fra i raggi obliqui del sole sulle pareti, fra i cacciaviti consumati, le chiavi inglesi, il legno di pino fissato in malo modo a spicchi di parete? Non pensi che anche Van Gogh oggi dipingerebbe spesso dentro una rimessa? Un posto fra i più intimi, dove genio e manualità trovano la loro piena ragion d’essere.

Allora la mia battaglia personale è: torniamo al pennello e al colore, lasciamo nel cassetto le macchine fotografiche e i cellulari, smettiamo una buona volta di delegare ai loro occhi di vetro la cattura dello spirito del mondo, usiamo i colori, spalmandoli come il gesto più sensuale di questa terra, per nutrire i nostri mondi personali.

Eh, ma io non sono pittore, dici. Va bene, fai cromoterapia, spremi il tubetto e tutta la tua ignoranza, spalmalo dove vuoi, ma non sui denti. Ti assicuro che nulla è più appagante del colore, perché è fatica, manualità, perché ti svuota dentro e alla fine le tossine se ne sono andate.

È vero anche che Vincent tossine o no poi si è sparato. Ecco, ti ho svelato il finale. Sì, un dramma, ma non è necessario che ti spari per essere come lui, almeno finché non sarai bravo come lui. Per lui il colore era la cura migliore, anche se poi non ha funzionato fino in fondo, ma non esiste cura che funzioni per tutti e che funzioni sempre. L’arte rimane una cura delle malattie, un calmante dei nervi, una forma dell’io che viene strappata dal profondo e viene resa palpabile e concreta, anche se poi, guardando quell’io fra le pieghe del colore, si stenta a riconoscerne le implicazioni.

pipa di Van Gogh, mattoni miei

pipa di Van Gogh, mattoni miei

Io nel mio garage ho appeso il cappello di Van Gogh, ho appoggiato su una mensolina la pipa di Van Gogh, ho preso il pennello di Van Gogh e ho cominciato a dipingere, ma io sono io e ho disegnato solo mattoni, murando grano e cielo, per non sentirmi troppo triste. Mi sono riempito i polmoni dell’odore dei colori e poi sono andato a passeggiare dentro la primavera, pensando cosa vuol dire morire da giovani, dopo una vita travagliata. E ho deciso che sì, esistono sentieri rosa in altre galassie, dove i pittori non muoiono presto e hanno tutto il tempo necessario per dipingere e guarire.

Rosso Tiziano

stimatissimo Robialquadrato,

ti immagino alto, ma non troppo, con le gambe storte e con le orecchie e il naso color rosso Tiziano. Con i piedi molto lunghi, sempre coperti da fantasmini rossi e blu elettrico.

Immagino anche che quando scrivi ti escano delle parole azzurre e gialle, un giallo caldo, come quello che si usava per le automobili negli anni ’70.  È una mia impressione personale, l’impressione di un artista.

Vorrei da te una brochure, la faremo rossa e gialla. Con una pennellata rosso Tiziano che l’attraversa, una pennellata come una distrazione, un colore scappato di mano mentre ci si girava a salutare qualcuno.

Espongo a Roma, in aprile. Penso che sarà una delle mie ultime mostre. Non so se mi conosci, ho attraversato il parallelismo, l’ultrascientismo positivista, il periodo bianconero. Ora vorrei fare una cosa tematica, presentando al pubblico la mia ultima produzione, dove emerge un minimalismo che sfocia nel nichilismo organico.

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Il fatto è che non mi ero mai accorto di essere un minimalista, anche dentro gli altri periodi. Pensa che persino quando rifiutavo il colore, mi svegliavo una bella mattina e tiravo sulla tela due piccole pennellate di giallo e dopo ci mettevo dentro una briciola o una macchiolina di caffè zuccherato. Poi la mettevo da parte come una burla, uno scherzo che facevo a me stesso, alla mia vanità, solo adesso mi sono accorto che quella è in realtà la mia produzione più importante. Io sono quello!

Tanto per farti capire, sappi che per le mie tele uso solo un paio di grammi di giallo, blu e rosso veronese, il resto lo lascio fare alla tela grezza e a quello che ci appiccico sopra, per lo più minuscole particelle organiche.

Stanno spesso a sinistra e verso il basso, per aiutare la visione. Talvolta occorre una lente. Sono per lo più ricordi di vita. L’unghia di un alluce del 1981, oppure una mosca che uccisi a Tunisi nel 1970, con uno scacciamosche sporco di rosso Tiziano. Questa mosca si era posata sulla tela e io paf, la fissai per sempre, quasi in centro.

È un quadro molto famoso, l’avrai sicuramente visto sulle copertine di qualche libro di scuola. Intorno alla mosca è stampata la trama della rete di plastica, che avevo impresso con il colpo. Dell’insetto rimangono le ali, ben posizionate, e una macchiolina nerastra, simile a un guscio. Ho dovuto fare un trattamento conservante.

Ti dico queste cose giusto per darti un’idea, perché se accetti l’incarico dovrai scrivere queste piccole didascalie. Un altro richiamo che vorrei mettere nella brochure riguarda il quadro intitolato “Soffio”, dove ho incollato su fondo azzurro, colore molto limitato ovviamente, un fazzolettino al mentolo, intriso del muco del mio naso. È un’opera del 1987, in quel periodo mi era appena morto Ringo, il mio mastino, quindi sul fazzoletto ci sono anche delle lacrime, ovviamente invisibili.

Nel 1956 rifiutai uno dei biscotti che aveva cotto mia madre nel forno, però mi dispiaceva rimetterlo insieme agli altri, mi sembrava un sacrilegio, come mi sembrava un sacrilegio divorare un’opera di mia madre. L’ho sempre conservato ed è diventato un quadro 100 x 70, ma questo molto tardi, era il 1999. Mia madre ha fatto in tempo a vederla ed era molto orgogliosa, però non ho mai capito se di me o del suo biscotto, non è divertente?

Poi vorrei mettere un’ultima cosa, che mi piace molto, è un pelo di barba in un’ovale di tela grezza. Gli angoli sono sporcati con rosso Tiziano e ocra. Il pelo è bianco, è un’opera del 2013. Ho dovuto disegnare un piccola freccia (rosso Tiziano) per indicarlo, perché bianco su bianco, chi lo vede?

Come vedi sono un po’ disordinato nella mia esposizione, è per questo che ti chiedo aiuto. La mostra si chiamerà “Io” e chi la visiterà guarderà la mia vita, nelle sue parti più intime. Coglierà i miei sentimenti, i miei stati d’animo fossilizzati.

Naturalmente conto sulla tua collaborazione. E naturalmente sei invitato alla mostra.