Bella fatica

Io da te non voglio niente. Ti scrivo solo per dirti che il mondo non ha bisogno di persone come te. Persone che scrivono e che pensano che tutta la vita sia contenuta lì, in un mucchietto di parole.

Poveri ingenui. Non solo ingenui, ma anche vigliacchi, vogliamo dirlo? Perché uno si rifugia nelle parole quando ha paura del mondo e ha paura del mondo perché non riuscirebbe mai a viverci senza qualche stupido espediente. Le parole, appunto.

Invece il mondo è tutta un’altra cosa, caro signore. Il mondo è una palla di terra, minerali, fuoco e molto altro, e tutti quelli che ci stanno sopra hanno un unico scopo: ricavare dalla terra, dai minerali, dal fuoco e molto altro delle merci di scambio. Merci di scambio che servono per acquistare potere. E questo è tutto.

Ci sono poche parole importanti: e no. Ci sono pochi verbi importanti: compro, vendo, scambio e faccio. Tutto il resto lascia il tempo che trova. Se tu fossi una persona di buon senso dovresti piantarla, a partire da adesso, di cercare di convincere la gente che le parole sono importanti per il progresso degli uomini. Che è importante scrivere una bella lettera d’amore o una bella presentazione, che per vivere bene è necessario scrivere manuali. Uno nella vita fa esperienza, ecco tutto e se è abbastanza intelligente non ha bisogno di manuali o di scuole di pensiero.

 

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Però evidentemente tu, come molti altri, hai paura di lavorare. Come i filosofi, i letterati, gli intellettuali. Tutta gente che ha paura della terra e dei metalli, che ha paura di sporcarsi le mani. Chissà come, pensa che evitare di lavorare sia sinonimo di progresso. Alla fine, dai primitivi fino ad oggi, il progresso è fatto di gente che scava, scava. Per ricavare caverne, poi barche, poi capanne, case, automobili, persino computer. Che impianta centrali idroelettriche e atomiche, che costruisce strade e motori d’aereo. Prova a volare con le tue parole.

Ma io volo con la fantasia, dirai. Illuso! La fantasia non serve a niente, sei un bambino che si tira su le coperte fino al naso, per evitare di vedere quello che c’è la fuori. Facciamo un’ipotesi: tu e tutti quelli che scrivono non voglio dire morite, che sarebbe cattivo, ma venite rapiti dagli alieni. Gli alieni vi portano via perché per vivere hanno bisogno di parole. Giusto, solo un alieno può pensare che le parole siano importanti. Via, via, verso gli spazi bui dell’universo. I telegiornali danno la notizia. La gente si ferma un attimo, uno dice mentre mangia, alza il volume che voglio sentire. Lo speaker dice che gli intellettuali stanno viaggiando verso Alfa Centauri, che là della manodopera non sanno cosa farsene e sono solo assetati di parole. Sai qui da noi cosa succede? Che si va avanti a mangiare e che tutti si pensano che alla fine sia meglio così, anche se non lo confessano a voce alta.

Quando mi sono sposato non ho scritto lettere d’amore. Le ho detto: sei la donna per me. E donna vuol dire una cosa sola. Vuol dire altre braccia, in futuro, per rivoltare zolle, per estrarre metalli. Tutto qui. Se cent’anni fa eravamo un miliardo di persone e adesso siamo sette, non è perché abbiamo letto i Promessi Sposi fino alla fine. È perché abbiamo fatto l’amore, siamo diventati padri, madri e tutti i santi giorni abbiamo preso il caffè, poi la macchina, poi siamo andati in ufficio o in fabbrica a costruire tabelle, a tracciare disegni, a spedire materiali, a fare quell’infinità di cose veramente necessarie per tutti.

Prova a lavorare per un giorno, se hai il coraggio, ti accorgerai come si vive davvero. Ma so che ti sto chiedendo troppo.

Il cacciatore di teglie

Io parlo poco, amico. Sto cercando uno che parla molto e tu sei quello giusto.

Per molti versi mi dai fastidio, ma a me occorre uno così. Come te.

A me non importa come ti chiami. Ti dico il mio, di nome. Il mio nome è Quaresima. Questo te lo dico perché il mio nome arriva sempre tre giorni prima di me. Lo trovo un gesto di lealtà, persino troppo generoso. Uno sa che arrivo e si regola.

Chi ha dei conti in sospeso con me di solito non mostra nemmeno la punta del naso. Tu hai dei conti in sospeso? Dipende. Se mi aiuti a scrivere vedrò di farti un trattamento di favore, che consiste nel lasciarti in pace, almeno per un po’ di tempo. È un’offerta che non puoi rifiutare.

In quanto alla scrittura, non è che sia stupido. Mi credi stupido? È che a dieci anni ho spaccato il naso alla cuoca della mensa, con una teglia della pizza ancora rovente e così mi hanno sospeso per una settimana. Ho quarantadue anni e devo ancora ritornarci, a scuola. Ma penso che ormai sia la cuoca che la mia maestra siano passate a miglior vita, che Dio le abbia in gloria.

Il fatto è che il suono di quella teglia sulla cartilagine mi diede un’illuminazione. Mi fece capire che al mondo ci sono teglie e teglie. Mio padre allevava maiali e mi prese da parte, dopo il fatto. Mi disse: senti, ragazzino, qui i casi sono due. O torni a scuola o mi aiuti con le bestie. Nessuno dei due, dissi. E se chiudo gli occhi sento ancora il rumore della sua mano, il sapore che aveva il buco là dove appena prima c’era un molare. Eppure glie lo dissi di nuovo. Nessuno dei due. E questa volta fui lesto a scansarmi. Voglio commerciare in teglie e padelle, gli dissi.

 

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Il tempo mi ha dato ragione. Di un maiale puoi fare a meno, della scuola anche. Ma quando devi cuocere un sugo, i fagioli, le patate, se non hai una buona teglia, una buona padella, addio mondo, addio vita. Ricordati che le cose che disprezziamo sono quelle più utili. Te lo dice Quaresima, che di digiuni ne ha fatti tanti, prima di scovare le padelle a doppio fondo o antiaderenti o capaci di cuocere senza grassi e con un incredibile risparmio di gas metano e di elettricità.

Quando scoprii questi territori di conquista sentii che dovevo fare qualcosa per gli altri, per tutti quelli che si erano fermati ai maiali o al piccolo Lord.

Devi sapere che uno come me riconosce subito quando un tizio nasconde in casa del pentolame cattivo. Compera da mangiare e poi torna a casa rasente il muro, guardandosi intorno con un’aria impaurita. Suda un po’, anche con la neve, ma spesso il sole non basta a togliergli l’aspetto cadaverico. Alla fine ci arrivo sempre, alla sua porta. I tipi che mi aprono sono di due specie: sbruffoni e timorati di Dio. I primi non vogliono saperne, i secondi sanno che vengo prima di Dio, perché lui non ha bisogno di padelle, ma loro sì.

Sento un odore, dico. Quando dici questa cosa dell’odore, loro, anche gli sbruffoni, rimangono spiazzati. Fiuto l’aria. Non sono le rose, dico. Dalla tua casa esce un odore di carogna. Cos’hai sul fuoco? Solo i timorati mi rispondono, ma io indovino materiale e dimensione del tegame. Anche la marca, se lo scotch non è ancora arrivato alla testa e ti garantisco che ce ne mette di tempo, interi giorni. Se voglio sbronzarmi a fine settimana comincio a bere a inizio settimana. E a fine settimana non lavoro, questo per dirti che Quaresima non sbaglia mai, che beva o no.

Gli indovino lo spessore del fondo, di solito compensano con parecchio olio. Hai una brutta faccia, amico, dico. I timorati di Dio si arrendono e mi fanno entrare. Il gioco è fatto.

Con gli sbruffoni mi comporto diversamente. Li guardo negli occhi e non ho mai visto nessuno che non abbassi i suoi per primo. Dai un’occhiata al colesterolo, dico. Qui la caccia diventa una seccatura, devo aspettare qualche giorno, magari mi scelgo un alberghetto a buon prezzo, magari mi diverto un po’ con qualche bocconcino, perché il tempo bisogna pur passarlo in qualche modo, e non lo riempio certo leggendo il piccolo Lord. Questi sbruffoni ostinati li lascio nel loro brodo a tormentarsi e quando sono cotti a puntino torno a casa loro. Non c’è più bisogno di ricordare chi sono io. Perché sono diventati agnelli timorati di Dio.

D’inverno per lo più mi riposo, non amo le bufere di neve. Mi riposo e studio le teglie di ultima generazione, che quasi nessuno al mondo ha ancora visto. Teglie e padelle che sono lontane anche da uno provvisto di molta fantasia, come puoi essere tu. Poi con il disgelo il cacciatore di teglie si muove, perché il mondo è pieno di brave persone con tegami cattivi e i cattivi che trovo sulla mia strada sanno che non rivedranno un altro inverno.

 

Sì, ma cosa vuoi che ti scriva?