Pasquale e la depressione natalizia

Pasquale vorrebbe festeggiare il Natale, ma è piuttosto depresso per ovvi motivi. Non riesce a fare un augurio che tutti lo prendono in giro, allora va da un mago che abita in via Appia antica al numero 8615 e gli chiede di aiutarlo. Il chiromante si sfila i tacchi a spillo dalle orecchie, poco pratici, ma molto efficaci per non sentire il cane del vicino, che si chiama Natalino – il vicino – e che alla fine non c’entra niente con la storia, almeno fino ad ora. Non ride quando Pasquale gli spiega la sua storia, gli chiede solamente cento euro e gli suggerisce di aprire la finestra a mezzanotte e pronunciare “Zum zum spacca”, a voce piuttosto alta, ma senza disturbare i vicini. Pasquale paga ed esegue e il giorno dopo si presenta dal fornaio e gli dice buon Natale.

Il fornaio prima ringrazia, poi si sganascia. “Buon Natale, Pasquale” gli dice con le lacrime agli occhi. Sono anni che si diverte, con la stessa intensità, beato lui. Pasquale, invece, che al Natale tiene abbastanza, compra mezzo chilo di non sa cosa e poi va dal fruttivendolo. Il fruttivendolo è triste, è il suo ultimo giorno di lavoro perché in tre mesi sono cresciuti intorno a lui quattro ipermercati che vendono mele della Patagonia che sembrano angurie. Così quando gli dice “buon Natale, Pasquale” ammette che la cosa è molto divertente, ma che questo divertimento non lo tocca.

Con un filo di speranza Pasquale va dal barbiere, che pettegolo all’inverosimile racconta a tutti i presenti che in negozio è entrato Pasquale, per fare il taglio di Natale. Ovviamente tutti, leggeri per le feste che stanno iniziando e gli spritz del mattino, ridono in coro, ciascuno con i capelli che ha: i capelli lunghi chi se li deve tagliare, i capelli a metà chi sta seduto in poltrona, i capelli belli in ordine e laccati chi sa uscendo dal negozio.

Pasqualino, smarrito, torna dal mago, che di cognome fa Quaresima. “Rivoglio indietro i cento euro”, gli dice. Ma il mago gli dice che non c’entra niente con la storia, almeno per il momento, e che comunque i cento euro comprendono anche la seconda parte del trattamento. Ora bisogna andare da Natalino e qui si capisce che Natalino c’entra qualcosa con la storia.

“Dimmi, Natalino – gli chiede il mago – quando viene Natale, che tipo di augurio fai tu agli altri?”

Natalino ci pensa su un po’ poi dice che la formula la deve dire appena prima che qualcuno gli faccia gli auguri.

Pasquale ringrazia e subito fa una prova, va dal fruttivendolo, ma invece di dire “Zum zum spacca” dice “Zum zum stampa”, allora il fruttivendolo gli dice tanti auguri Ermete. Pasqualino obietta “Guarda che io non mi chiamo Ermete.” Il fruttivendolo si mette a ghignare e dice sei un buontempone. Allora Pasqualino fa un’altra prova, va dal salumiere e dice “Zum zum stampa, dammi un etto di salame e la salumiera gli replica “Come lo vuoi, Arnaldo, con o senza aglio?” Pasquale dice, guarda che non mi chiamo Arnaldo e la salumiera gli dice: “Sei un buontempone!”

Pasquale, dopo aver fatto il giro dei negozi, dopo essere stato chiamato Arnaldo Ermete Giacomo Luigi Luca Giovanni, gli evangelisti e tutti i saggi dell’Antico Testamento, si rende conto di non avere più un’identità, torna dal mago e gli dice: “Con questa formula non mi riconosce più nessuno!” Il mago: “Allora non pronunciare la formula. Fanno cento euro.”

Ora Pasquale tutto sommato è felice anche a Natale e usa la formula solo quando vuole sentirsi un altro, quando vuole evadere, e soprattutto quando ha lasciato il debito dal salumiere.

 

Postino sport

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Il postino è uno dei mestieri più belli e pericolosi del mondo.

Più bello che fare l’attore, dove uno finge. Più bello che fare il politico, dove uno finge.

Più pericoloso che lo stuntman o il freeclimber. Il postino ha due ruote che obbediscono non a lui, ma alle leggi della natura. Al bagnato, alla sabbia, al ghiaccio, alle pietre acuminate.

Una volta esistevano vari tipi di postini, il bulimico, l’apatico, il sognatore, il viaggiatore. Si chiamavano portalettere, indossavano una cravatta e giravano con una borsa di cuoio. Erano parte integrante del quartiere, monumenti di carne temuti e riveriti; conoscevano ogni tegola, ogni vite, ogni sospiro di ciascuna persona innamorata, morente, nascosta nell’ombra per paura o pazzia. Le lettere portavano il francobollo con la faccia di Togliatti o le fontane di Roma e un bel timbro nero con una data scolpita a imperitura memoria. Erano lettere desiderate e attese. Erano lettere cariche d’amore o minacciose. I bambini al suono del campanello esultavano, il mondo entrava dentro le loro case, con carta e inchiostro. I filatelici attendevano i portalettere all’ultimo piano dei palazzi. erano vestiti di nero, con i collant della moglie infilati sul volto; aspettavano ore sotto il sole per inquadrare il portalettere nel mirino di un Dragunov rimediato al mercato nero, solo per arricchire di tre francobolli la loro collezione di una vita.

I portalettere ignari respiravano i profumi dei gelsomini in fiore, rimpiangendo vite mai vissute o le loro terre lontane, Sicilia, Calabria, sognando barchette di carta da lettera a solcare le onde.

I portalettere ignari si fermavano a mangiare la porchetta, la polpetta, altri cibi che finivano con etta, perché il mondo girava lento, ventiquattr’ore duravano trentasei e c’era tempo per tutto, anche per le chiacchiere e l’amore.

I portalettere ignari portavano notizie e portare notizie era una missione riservata al dio alato. Nelle lettere erano rinchiusi misteri, segreti, speranze. Nel primo pomeriggio il portalettere depositava le ali del dio ancora immacolate nel proprio armadietto e diceva ai colleghi: “A domani!” Dove domani era un giorno come oggi e come ieri, dove il mondo era fisso e immobile e piatto.

Poi il mondo si è messo a girare più veloce. Il portalettere si è trasformato in postino, che è un nome più breve e leggero, ha lasciato a casa la cravatta, che riduce la velocità. Si è dotato di un fisico bestiale per far fronte allo smog, alla grandine, alla neve, al sole senza il filtro dell’ozono. Il postino viaggia con sette orologi, perché ha la mentalità del pilota, deve finire il giro con il tempo migliore, rosicchiando secondi.

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Cielo e terra si confondono alla sua vista, le case verdi sono alberi con finestre, i portoni dei condomini dogane fitte di misteri. La gente arriva e se ne va, lasciando i propri nomi sui campanelli. Dove ieri abitava Giulio Cesare, oggi dimora un triumvirato. I cecchini hanno abbandonato i tetti, perché i francobolli stanno scomparendo, così come le monete. Il postino infila giornali in cassette arrugginite e taglienti, montate al contrario all’interno dei cancelli, coperte di rovi spinosi, strabocchevoli di posta vecchia e di offerte scadute. La gente non ha più voglia di ricevere lettere, né di aprirle, perché non c’è più sorpresa, né attesa. Il postino conosce a memoria i nomi, a uno a uno, ma dietro i nomi non c’è nessuno.

Poi, all’improvviso, qualcuno gioisce per un pacco arrivato prestissimo, oltre ogni speranza, un libro ordinato su Amazon, che spiega come vivere sani fino a 100 anni. Sebbene il pensiero del centounesimo anno metta comunque un po’ di ansia, per un attimo il postino torna dio, con i calzari alati e messaggi di altri dei che lo incitano: “Presto, presto, una pace o una guerra dipendono da te!” Con la speranza di vincere un giorno il nobel, il nostro eroe ritorna alla base, vuoto di missive e di pensieri, senza più chiedersi, fino al giorno dopo, quanto tempo dureranno ancora i messaggeri.

I messaggeri dureranno per sempre, finché ci sarà merce di scambio. Magari non si chiameranno più postini, ma atleti, capaci di coprire lunghissime distanze in brevissimo tempo, portando a destinazione schede elettroniche di astronavi, mele del Trentino, cuori da trapiantare e uno fra mille o diecimila, scritti ancora con la biro, obsoleti messaggi di pace.