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La noce di coccole
Antenore, quello che abita al primo piano della scala A, esce nella strada deserta.
Il fruttivendolo è a due passi e a quest’ora non c’è nessuno in negozio, sono nemmeno le sette e sta sistemando la merce fresca.
Antenore mette dentro la testa e dice: Ago, sono arrivate le noci di coccole?
Ago non si chiama Ago, ma tutti lo chiamano così perché anni prima aveva comprato una Agusta e dopo mezza giornata si era schiantato contro un muro, alla curva per entrare in paese. Se passate di là c’è ancora il segno.
Ago dice che le noci di coccole non sa che cosa siano. Ho sentito alla tele che fanno bene per il virus, dice Antenore.
Ago ripete di non averne mai sentito parlare e che comunque, anche ammesso che esistano, si troveranno a Milano, o a Parigi, ma non in un paesino di mille abitanti. E cosa sarebbero, chiede.
Sono noci di cocco normale, che però ti siedi sul divano e cominci a dare dei bacetti sul guscio, ad accarezzarlo, a stringerlo fra le braccia. Allora il guscio si ammorbidisce e finalmente puoi aprire la noce solo con le dita, senza ricorrere a martelli o cose così.
Io non mi fido delle cose strane, dice Ago, grattandosi i baffoni, che per inciso sanno di sedano. Non puoi prendere un melone? È profumato e non c’è bisogno di martello per aprirlo.
Ma Antenore non è convinto. Un melone non è una noce di coccola, è sempre uguale a se stesso, inerte, profumo senza sentimento.
Prova con le mele, gli suggerisce Ago, che ha in mente il tempo delle mele, quando l’amore era puro e pieno di promesse. Ma le mele ad Antenore ricordano i tempi dell’ospedale, quando mangiava una confezione di golden cotte e non poteva mangiare nient’altro.
Ago sistema gli scaffali e intanto declina: fragole, pere, prezzemolo, insalata gentile, carote.
Antenore dice che le fragole gli fanno venire l’orticaria, le pere gli ricordano la droga, il prezzemolo si mette in tutte le salse, ma questo non vuol dire che c’entri con l’affetto, l’insalata è gentile solo in apparenza, le carote gli ricordano i cartoni animati di quel coniglio, come si chiama.
Te la do io una cosa, dice Ago. Aprila solo quando sei a casa, sul divano, tenendo gli occhi chiusi. Usa il naso per indovinare.
Antenore torna a casa in tutta fretta con il suo cartoccio, guardandosi in giro, un po’ per timore che glie lo portino via, un po’ perché ha paura che qualche uomo cattivo gli getti addosso il virus per il gusto del dispetto, mandandolo all’altro mondo. Perché Antenore è cardiopatico, asmatico, iperteso; ha fatto quattro influenze in un mese, superando il record di un altro in paese che ne aveva fatte tre più un leggero malanno.
Si siede sul divano e chiude gli occhi. Ascolta il rumore del cartoccio che si srotola. Immagina le sue dita al lavoro per aprire l’involucro, le vede, quasi.
Non c’è bisogno di avvicinare il naso per sentire il profumo del sedano, ah nobile pianta. Il brodo con il sedano, quando era bambino, il pinzimonio, che la mamma preparava con il sale e l’olio, i risotti, i frullati verdi, che ancora la mamma gli faceva bere quando era malato. Croccante sotto i denti, un profumo non volgare, ma carico di evocazione. Un mondo perduto, una nobiltà semplice, senza fronzoli, una fierezza unica.
Antenore ne spezza un gambo e lo addenta. Crack! Una lacrima rimane lì, all’angolo dell’occhio sinistro e poi si adagia fra le ciglia.