Informazioni su Roberto Stradiotti

studi classici, bonsaista della domenica

Lei non sa chi sono io

Alshiro lavora in un call center, anche se ha sempre sognato di fare la rockstar in una band underground.

Alshiro mangia nel call center e dorme nel call center, sotto la scrivania, perché c’è la crisi degli alloggi.

Alshiro subisce mobbing dal suo capo, ma è giovane e ottimista e sogna di fare mobbing nella sua band underground, un giorno.

La compagnia in cui lavora si chiama AZ, perché vende di tutto, dalla A alla Z.

Alle 9, 03 gli telefona un cliente infuriato, perché il suo divano a due sedute di pelle di capra girgentana non è ancora arrivato e sono passate tre settimane e gli ospiti devono sempre stare in piedi. Il cliente ha un bel dire che lì in quell’angolino ci dovrebbe stare un divano, gli ospiti lo guardano con l’aria di chi non ci crede fino in fondo.

“Ci saranno dei ritardi nei traghetti, mi faccia verificare” dice Alshiro.

“Non faccia il buffone – dice la voce – come si chiama, lei?”

“Alparo” dice Alshiro.

“Bene, Alparo. Lei non sa chi sono io!” Alshiro non risponde, attende che l’uomo si riveli. Trascorrono secondi silenziosi. L’uomo sbuffa, balbetta. Pronuncia sillabe come ma, mi, so pre, di, e tutta la serie delle preposizioni articolate.

Intanto Alshiro ha rintracciato sul terminale la spedizione. Comunica all’uomo che il suo divano si trova in un deposito di Reggio Calabria.

“Reggio Calabria! Qui siamo impazziti, totalmente impazziti. Nel mio studio ci vengono persone importanti e io devo dire che non ho nemmeno un posto per farli sedere. Ieri è arrivato quello scrittore, come si chiama…”

Alparo, il capo, ha detto ad Alshiro che bisogna interagire in modo costruttivo con i clienti. “Volo? De Carlo? È italiano?”

“Quello che ha scritto Un amore.”

“Liala?”

“In ogni caso mi sto rovinando la reputazione. Nel mio campo non è permesso. Lei mi capisce, Alparo? Mi pare di no.”

Alshiro, per stemperare la tensione, gli chiede se il campo di cui si parla è quello dell’editoria. L’uomo torna a sbuffare, a sospirare. Sono tanti i campi, dice, così tanti che non è possibile ricordarli tutti. E comunque campo o non campo il problema è il divano, che indipendentemente dal campo fa sedere le persone. Ho comperato tante cose da voi, dice l’uomo, ma non mi è mai capitata una cosa simile. Cosa stanno facendo, stanno ancora uccidendo la capra?

“Non si deve preoccupare, telefono al deposito, poi la richiamo.”

“Dite sempre così, voi, richiamo, richiamo, e poi non richiamate mai. Sono stufo dei vostri richiamo, io voglio una risposta e subito, sto al telefono fino a quando non ho una risposta. Forza, dunque. Attivi il suo collega di fianco, gli faccia telefonare al deposito. Io sto in attesa e non mi nuovo di qui.”

Alshiro tenta di recuperare la pratica, ma il terminale si è bloccato. Succede sempre così con i clienti arroganti. Chiede nuovamente il nome, scusandosi per l’inconveniente e incolpando un server in Olanda, anche se sa che è perfettamente inutile.

L’uomo sbuffa, impreca piano, emette sillabe a casaccio. “Mi sente? Mi sente bene?”

“Perfettamente.”

“Allora apra bene le orecchie. Io non so chi sono io.”

Solo allora la pagina del terminale si aggiorna. “È partito. Il divano è appena ripartito. Non è una buona notizia?”

 

 

Bozza di un coccodrillo

MODULO DEL COCCODRILLO                                                           n. 36 d/12 – revisione 2

 

 

Nome: Fabio Toninelli

detto anche: French

o anche: …………………

Motivo della dipartita:

◊ Rapito dagli estremisti di Alienia e trascinato nell’iperspazio contro la sua volontà e quindi impossibilitato a ritornare

◊ Disperso nel Gange durante:            a) rito religioso          b) festa con birra di fabbricazione indiana

◊ ibernato per sua stessa volontà e quindi per i contemporanei assente a tempo indeterminato

◊ autoesilio e clausura perenne

◊ altro ………………………

 

 

Fabio Toninelli, a meno che non sia nascosto da qualche parte, manca ormai da … (specificare il periodo di assenza).

Non essendo giunta la giustificazione dei genitori, ci tocca parlare di lui come se non ci fosse più, salvo che non si faccia vivo almeno telefonicamente (specificare il numero di telefono, ma facoltativo).

Appena nato, la sua molle eleganza, unita a un’aria spocchiosa e alla completa indifferenza per ciò che lo circonda, compresi i genitori, spinge gli stessi alla decisione di abbandonarlo in un museo di Desenzano, accanto al primo aratro preistorico. Dapprima viene considerato parte integrante dell’attrezzo e tutti dicono: ma guarda come è ben conservato, sembra vivo (note: ricordarsi che Toninelli è stato trovato nel 1976, l’aratro nel 1978, quindi l’aratro è più giovane, però con licenza poetica li uniamo a un comune destino. Ricordarsi che French raccomanda sempre di mitizzare lievemente la biografia).

Verso sera il pupo si accorge di essere effettivamente vivo e si mette a strillare; il custode decide seduta stante che quello strillo non è per nulla preistorico e lo salva da imbalsamazione certa.

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Fabio Toninelli passa la sua infanzia da bambino più o meno normale, trascorre i pomeriggi estivi ad affrescare con lo spray le absidi di numerose chiese di campagna, con animaletti quali pesci, cani e rane, firmandosi “Acquerelli Giotto” (note: pare che Banski l’abbia citato nei suoi esordi artistici: mitizzare lievemente).

Al liceo scientifico tenta di decorare i soffitti delle aule, lamentandosi per la scarsa qualità del supporto, ma i professori, irritati soprattutto per la modesta riuscita dei pesciolini, tentano di lapidarlo con i gessetti colorati. Toninelli non demorde, sente ardere dentro di sé sia la svogliatezza per lo studio che la passione per l’arte, si esercita nel canto e crea un brano di indubbio impatto emozionale, “La giostra” forse poco compreso dal pubblico di quel tempo, per le sue sfumature avanguardiste e tuttora ancora poco recepito.

Per approcciare le ragazze recita il numero del telefono di casa, ma quelle rimangono impassibili. Un giorno esclama a una ragazza: “Ma tu mi piaci davvero!” Quella non rimane indifferente, ma gira i tacchi e se ne va, allibita. L’esperienza maturata gli insegna che i numeri non hanno un senso, mentre le parole sì. Si appassiona alla scrittura, ma fa colpo solo sulle ragazze che non amano la scrittura, non su quelle che l’amano. Allora, d’accordo con alcuni compagni di scuola, pensa di creare qualcosa che trascenda la scrittura e che risparmi le lapidazioni con i gessetti: un coacervo di leggerezza e di gioia di vivere: è così che nasce il giornalino del liceo, Tapirulan, in onore del tapiro, animale che nessuno conosce davvero bene, ma ammirato assai a causa delle doti ambivalenti che ricordano molto quelle di Toninelli: dai suoi amici e dai più stretti collaboratori è definito infatti scioccamente timido, genialmente autarchico, volubilmente affidabile, pigramente determinato, determinatamente indeciso, stancamente iperattivo, definitivamente indefinito; egli però preferisce definirsi indefinibilmente definito. Come si può intuire, lascia spaesato chiunque abbia l’onore di parlargli insieme.

La fatica che accompagna l’uscita del periodico si rivela ben presto superiore alle forze fisiche di French, vittima di una imprecisata febbre adolescenziale che modifica la sua statura da 1,68 a 1,93 centimetri nel giro di una notte. Passa il giorno seguente a spasso con la mamma per rifarsi il guardaroba, ma da allora con rinnovate forze affronta la sfida di Tapirulan, pubblicando storie vere o presunte su alunni e professori. Ingiustamente boicottato dal corpo docente, o comunque non visto di buon occhio per la lunga coda di cavallo cresciuta anch’essa improvvisamente durante la febbre, viene comunque promosso agli esami di maturità, con la segreta speranza di tutti che non si sentirà più parlare di lui, se non fra le piantagioni di cotone o di caffè.

French si laurea in economia e commercio, con l’intenzione di trasportare oro e spezie per gli oceani, ma il mar di mare non gli permette di portare a termine il proposito. Allora compera una Peugeot 205 decapottabile e si mette in viaggio, alla ricerca del proprio futuro.

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“Perché ti sei fermato?” stai andando bene.”

Il finto Toninelli  guarda verso la luna, che non solo non è più piena, ma se ne è andata, proprio. “Finito” dice.

“È un coccodrillo a metà!” protesto.

“Può essere.”

“E allora? per il resto?”

“Fammi domande.”

“Ti farò domande sull’altra metà del coccodrillo. Diciamo dal 2005 ai giorni nostri.”

Mi dice solo di sì. Senza emozione, accarezzando la sua Olivetti come se fosse un animaletto morto.

“Se vuoi ti scrivo un coccodrillo sull’Olivetti.”

“Grazie. Un giorno.”

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fine  della seconda parte