Informazioni su Roberto Stradiotti

studi classici, bonsaista della domenica

Il consiglio di Andrea Camilleri

Sono seduto su un paracarro di pietra, sul ciglio del sesto tornante, sotto l’ombra di un abete maestoso. Andrea Camilleri è coricato sull’erba, vicino a me e si sta pulendo gli occhiali. Io per gentilezza gli offro di sedersi sul paracarro, lui declina dicendo che i giovani hanno la precedenza. Visto che ho diritto di precedenza gli mostro il mio ultimo manoscritto, che si intitola “Ramanzina sui Pirenei”; gli svelo che si parla di un conflitto fra padre e figlio e che l’ho scritto mentre avevo la gamba ingessata, perché era la sola cosa che potessi fare. Da lì la decisione di diventare scrittore.

Camilleri legge pagine a caso, poi mi chiede se magari sono bravo a fare il cuoco, o la guida turistica. Di provare altre strade, che so, il tiro con l’arco, magari è una dote nascosta e nel caso si può praticare anche con una gamba ingessata.

Butto gli occhi a terra e vedo ai miei piedi proprio un arco, con una freccia. Mi dico che magari ha ragione. Scocco la freccia, che trapassa un ciclista in sella a una bici da corsa. Quegli barcolla, poi riprende la sua traiettoria. Camilleri mi dice di provare qualcosa che abbia a che fare con il mio io più intimo. Promettendo che gli darò ascolto, ma senza comprendere bene il significato di quel consiglio, salgo in moto e do gas. La ruota posteriore slitta sulla ghiaia e scaglia un sasso di ragguardevoli dimensioni proprio nel mezzo della fronte di Camilleri. Gli chiedo se sta bene, lui mi raccomanda di partire senza indugio.

scrittore fecondo

scrittore fecondo

Scendo in paese e leggo manifesti dove si invitano proprio quel giorno aspiranti aspiratori all’hotel Excelsior. Allora vado all’hotel e dico che sono un aspirante aspiratore. Mi dicono di aspettare in sala d’attesa. Mancano due ore e non è ancora arrivato nessuno. Poco dopo scende dalle scale una cameriera scarmigliata, urlando che il famosissimo aspiratore Guglielmo Hoover giace morto nella sua camera, con la testa infilata dentro un’abat-jour, la quale a sua volta è infilata in un armadio a muro. Arriva la polizia e pochi minuti dopo le attenzioni si concentrano su di me, che come aspirante aspiratore ho il movente e sono sul luogo del delitto. Il luogo del delitto mi è chiaro, il movente no, io dico che in realtà fino a dieci minuti prima non avevo niente a che fare con il mondo degli aspiratori e volevo fare lo scrittore e così dicendo mostro al commissario il mio manoscritto. Lui si siede sul divanetto, comincia a leggere e si estrania.

L’hotel Excelsior è il solo hotel del paese, quindi di lì a poco arriva anche Camilleri, ferito alla fronte, proprio in mezzo agli occhi. Saputo che sono stato accusato, mi offre un alibi, dicendo al commissario che sono sempre rimasto con lui, al sesto tornante. Nel frattempo il commissario è arrivato a pagina ventisei del mio romanzo, dove si parla del padre che cammina a piedi sui Pirenei, seguito svogliatamente a pochi metri dal figlio. I due non si parlano fino a pagina ventinove, perché tengono il broncio. Il commissario piega l’angolo della pagina, chiude il manoscritto e mi discolpa all’istante. Però interviene di nuovo Camilleri, che mostrando la ferita in fronte mi accusa di tentato omicidio.

Subito vengo bloccato dagli agenti e portato in centrale, dove mi fanno mettere sul tavolo quello che ho in tasca: una gomma da masticare e un centrino di pizzo. Cercano di prendermi le impronte, io ne faccio una con la scarpa e loro contrariati mi strappano i peli degli avambracci. Poi mi fanno la doccia con gli spruzzini per i fiori e mi dicono che mi faranno la festa. Io non so di che festa parlino e comunque per principio non partecipo mai alle feste, che mi rendono nervoso, allora penso che se non sono scrittore forse posso essere un aspiratore. Ci provo e funziona, aspiro tutti gli agenti, poi mi precipito fuori dalla centrale. Arriva il ciclista trafitto, sta facendo il percorso contrario, la strada in salita verso i monti: lo butto giù di sella e affronto i tornanti. Mi raggiunge l’ammiraglia e il direttore sportivo mi comunica che non sto facendo un tempo degno di nota, allora abbandono la bici e mi siedo sulla panchina di un belvedere. Aspiro le nuvole e faccio tornare un sole basso, prossimo al tramonto; penso fra me e me che aspirare fa senz’altro parte del mio io più intimo ed è un’attività tutt’altro che disprezzabile, solo che Camilleri mi ha accusato e ora sono un ricercato.

Dopo aver passato una notte all’addiaccio, raggiungo la pensilina dei bus, per prendere il primo in partenza. Trovo lì seduto il commissario. Mi consegna il manoscritto e dice che ha passato la notte a leggerlo. Mi riferisce che è stata la cameriera a uccidere Hoover, il quale voleva aspirarla contro la sua volontà. Mi comunica anche il proscioglimento dall’accusa mossami da Camilleri, che aveva parlato contro di me in stato confusionale, quindi mi augura buona fortuna, si alza e se ne va. Io guardo per un po’ il mio lavoro, tolgo l’orecchio di carta alla pagina ventisei. Sento il rombo di un autobus che si avvicina. Salgo, guardo dal finestrino i monti con le cime coperte di nuvole che corrono. Quando il pullman riparte aspiro il manoscritto e chiudo gli occhi, ho bisogno di riposo.

 

 

La dinamica degli autoscontri nei luna park della Bielorussia

Il gioco degli autoscontri è una passione strana, un po’ come prendersi a schiaffi a vicenda. In Bielorussia poi tale divertimento si fa ardito fino ai limiti del buon senso. La Bielorussia è uno Stato che confina con qualcosa e per questo i bielorussi si irritano oltremodo, tanto che se qualcuno viene sorpreso a tracciare confini rischia la pena di morte. In generale ai bielorussi dà molto fastidio essere come gli altri e non appena possibile fanno stranezze gratuite per distinguersi a tutti i costi, come imporre una tassa sui disoccupati, che in quanto disoccupati non potrebbero altrimenti pagare tasse. Ha una sua logica. Il luna park di Sluck per esempio si insedia a casaccio, tanto che molti che desiderano andare al luna park si accorgono che ormai ha già levato le tende. Magari per un sacco di tempo non lo vedi, poi ti svegli al mattino, saluti la famigliola per andare a lavorare, apri la porta e invece di salire in macchina devi montare a cavallo, un cavallo vero, perché una giostra con puledri di razza si è installata nel tuo giardino. Possibile? Beh, il giardino era sgombro, era uno spazio libero. Ha una sua logica.

All’interno di questo strano luna park, un posto di tutto rilievo è riservato agli autoscontri. Gli autoscontri sono il modo privilegiato per fare nuove conoscenze. Le chat e le agenzie di cuori solitari sono trascurate, mentre c’è ressa agli autoscontri. Ora, non sapendo quando e dove arriverà il luna park, molta gente, che viene anche dall’estero, staziona per mesi e mesi negli alberghi e al mattino tutti si affacciano alle finestre, seminudi, in accappatoio, con i capelli arruffati, la bava del sonno sulla bocca; con l’ausilio di potenti binocoli scrutano l’orizzonte e i paraggi, per captare qualche piccola nuvola di polvere da lontano, per intercettare il rumore di ruote rotolanti di una carovana di mezzi. Molti se ne vanno, perché l’attesa costa, altri sono disposti a vuotare il conto in banca. Qualcuno trova residenza lì e vive aspettando.

Finché un giorno tu sei al bar e uno completamente ubriaco ti dice che stanno montando le giostre. Lo sospingi da parte e lui si fa sotto: sì, le giostre, dopo quasi cinque anni sono arrivate. E ci sono anche gli autoscontri. I clienti fanno silenzio e si mettono ad ascoltare. Va bene, sarà un ubriaco, però si tratta di autoscontri, non di una notizia di sport. Qualcuno, ancor prima di verificare, corre furtivo a casa ad agghindarsi: l’evento di una vita, almeno lì a Sluck, è a portata di mano. Gli autoscontri, chi l’avrebbe mai detto? I più però non ci credono, tirano all’ebbro tappi di bottiglia e pastiglie per il mal di testa. Gli autoscontri sono nel tuo cervello, gli dicono, vattene a casa, guarda come sei concio.

Ecco però che un bambino irrompe nel bar: “Gli autoscontri, sono arrivati gli autoscontri!”

Ora, bisogna dire che a questo bambino gli autoscontri non dovrebbero interessare. Magari le giostre dei cavalli, magari il tiro a segno, ma a un bambino gli autoscontri sono assolutamente vietati. Infatti questi autoscontri non sono come tutti gli altri, su una piccola pista, con una macchinina elettrica dalle dimensioni così misere che ti costringe a tenere le ginocchia appoggiate alle gengive. Quelli di Sluck sono autoscontri con macchine reali, sebbene depotenziate. Sono macchine verde acido, un po’ vecchiotte, tutte prive di tettuccio, che non superano i quaranta all’ora. Il proprietario le ha disposte nel parco, ben allineate. In breve tutti sono lì, con gli occhi grandi e le bocche aperte per la meraviglia. Le Skoda dell’amore!

Si paga la corsa, che vale uno stipendio, più o meno. Si noleggia l’auto e si vaga lungo le vie cittadine, alla ricerca di altre Skoda verdi. Entra in gioco la tattica: chi è al volante cerca di memorizzare durante i tragitti visi e targhe delle altre auto, per scegliere una persona interessante, poi la insegue. L’esito può essere duplice: l’inseguito si ferma e si scambiano i convenevoli, oppure l’inseguito non ha nessuna intenzione di fermarsi e questa è la parte più bella e divertente: l’inseguitore tampina il fuggitivo fino a fermarlo con la forza, vale a dire speronandolo o scontrandosi frontalmente, che è la tattica di maggior successo, mentre un semplice tamponamento permetterebbe ancora una possibilità di fuga. A questo punto, trattandosi di una strada pubblica, parte la constatazione amichevole, ci si scambiano i dati e i numeri di telefono e può essere l’inizio o la fine di una storia, grazie alle Skoda dell’amore.

Se vai a Sluck a cercare una Skoda dell’amore non è raro che qualcuno cerchi di inseguirti con la sua auto privata, proprio come se fosse al luna park, questo per dire che ogni viaggio ha un suo perché e i perché di ogni viaggio non sono sempre ben chiari; uno parte per una vacanza e finisce per sposarsi a Sluck, presentandosi alla cerimonia con una Skoda, che forse dal punto di vista estetico non sarà il massimo, però, almeno lì, è carica di significati. E comunque, se avrà la fortuna insperata di capitare nel bel mezzo di un luna park, non vorrà più saperne di quelli tristi e recintati delle nostre parti, che cominciano un giorno prestabilito, con cavallini di legno, carillon funesti, giostre senza futuro. Mentre gli autoscontri di Sluck, si dice, furono ideati da Ivan il terribile, con cavalli al galoppo. Agli ipposcontri però si andava per giocare e per morire.