Informazioni su Roberto Stradiotti

studi classici, bonsaista della domenica

La crisi dei supereroi

La caramella invece che in bocca finisce per terra. Accidenti alla maschera.

Maschera! maschera, ripete l’uomo sporgendosi dalla finestra aperta, come se predicasse alle folle, ma sotto non c’è nessuno. Le strade sono abitate solo dal virus.

Il giorno prima ha partecipato alla trasmissione di una tv locale, richiamando l’attenzione sulla differenza fra maschera e mascherina.

C’è maschera e maschera, diceva l’intervistatore. Vero, rispondeva il supereroe. Ci sono le maschere teatrali, per esempio quella di Arlecchino, ma noi stiamo parlando di quelle dei supereroi. La telecamera 1 zoomava sull’uomo mascherato, ma ovviamente non offriva dettagli rivelatori; una maschera è una maschera.

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Poi ci sono maschere e mascherine, suggeriva l’intervistatore, allora la telecamera 2 passava in rassegna il pubblico diradato con le mascherine. Qualcuno salutava, qualcuno accennava a togliersela per farsi riconoscere, ma veniva dissuaso più o meno violentemente dagli spettatori prossimi a lui.

Certo, diceva l’uomo mascherato, conosciuto al mondo come La Maschera di lurex, detto anche Lurex, dobbiamo prestare attenzione al ruolo del superoe, diverso da quello dell’uomo comune che difende al sua salute. Lo schermo si divideva a metà, mostrando contemporaneamente l’uomo mascherato e uno spettatore a caso, vale a dire maschera e mascherina.

Nel suo ultimo tutorial su Youtube “Come diventare superoe in cinque settimane perdendo cinque chili in quattro settimane” Lurex tiene molto a precisare che superoi si diventa più che mai ora con molto sudore e fatica, dato che tutti con questa mascherina cosiddetta antivirus si atteggiano a superoi, fanno i misteriosi, si permettono di osare, dietro il panno di garza.

Osare a tal punto che gli stessi malviventi cominciano ad avere qualche titubanza. Ieri, è capitato, proprio ieri. C’era uno in farmacia che pistola alla mano ha preteso che gli versassero in un sacco tutte le confezioni di Euchessina e uno gli ha detto ma vai a cagare, va’, allora il malvivente si è voltato indietro e ha visto uno che non si capiva se aveva la maschera o la mascherina, perché adesso fanno anche le mascherine smart, mimetiche, con le faccine, i cartoni animati. Questo qui aveva la maschera di Zorro e il malvivente gli ha chiesto se fosse un supereroe o cosa, intanto la polizia è arrivata e questa leggera titubanza gli è stata fatale.

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Il gusto dell’anonimato rende intrepidi, pensa Lurex passeggiando su e giù per la stanza. Ci sono degli emuli di Lady Porcupine che vanno a salvare animali qui e là gridando a tutti di essere figli della Lady. Come se avesse cinquant’anni.

Compone un numero lunghissimo e sonoro, le cui note messe insieme sono la musica di Fratelli d’Italia l’Italia s’è desta dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa.

“Dov’è la vittoria?” risponde una voce piuttosto debilitata.

“Non lo so, tesoro. La gente, si credono tutti supereroi. Vanno sui tetti a salvare i gattini, vanno in giro per il mare a salvare le balene. Cerca di guarire presto, dobbiamo tornare in pista.” Lady Porcupine per tutta risposta emette dei violenti colpi di tosse. Corri di qui, soccorri di là, trascorri serate al freddo a tendere agguati agli Antigreen, si è presa un malanno di quelli che ci vorrà un mese, prima che possa tornare in pista. Lui le chiede come sta. Ho tutti gli aculei che mi fanno male, risponde lei. Deve portarle le supposte? Lei declina, e comunque, nel caso passasse in farmacia, c’è questo e quest’altro da prendere, insomma una lista della spesa.

Lurex è depresso, il mondo si evolve a una velocità che mette a dura prova la sua, di velocità.

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Una volta c’era il bianco e il nero, il bene e il male, ognuno da parte sua pianificava, c’era tutto il tempo, adesso c’è inflazione di supereroi. Forse sarà la penuria di lavoro, per cui uno deve reinventarsi, ma solo nell’ultimo mese sono comparsi la maschera di latex, la maschera di polistrene estruso e l’ecomaschera, riempiono i social di proclami e a onor del vero si fanno vedere poco in giro. E a seconda dei giorni prendono posizioni confacenti alle convenienze del momento.

Lurex esce per strada e non fa pochi passi, che incontra un gruppo di signore bene; portano mascherine di lurex, che si vendono solo nelle boutiques e vanno molto di moda nell’alta società. Ecco, ci mancava anche questa.

Entra in un bar per un caffè e chi trova? Flyman seduto a un tavolino, o meglio coricato sopra il tavolino; sta fissando il suo bicchiere pieno di una roba densa, gialla e rossa, sulla quale è meglio non indagare.

Flyman solleva la testa e fa un debole cenno di saluto. Mamma mia che straccio. Infatti Flyman gli confessa che è stato messo in cassa integrazione speciale, perché per i supereroi c’è poco lavoro da quando il virus ha vuotato le strade. Anche i malviventi hanno paura e rimangono chiusi in casa a fare gli onesti. C’è un crollo dei reati, dice Flyman malinconico, non si può andare avanti così, ho il vestito in tintoria da due mesi, non sono ancora andato a ritirarlo.

Flyman è specializzato in topi d’appartamento, un’attività che credeva a prova di bomba. E invece a questo mondo non ci sono più certezze, dice.

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Lurex passa la mattina a girovagare, si sente un po’ come quei perdigiorno tentati dalla fortuna facile. Cosa si proverà, a essere dall’altra parte? A rapinare qualcuno? Magari proprio quelle signore bene, che stanno pigolando in mezzo alla strada deserta come se il virus fosse una benedizione?

Lurex si guarda intorno, è così che farebbe un vero malvivente. Cerca di entrare nella parte, medita il reato. Si avvicinerebbe a queste signore con una scusa, pensa, e intanto si avvicina. Chiede un indirizzo, un nome qualsiasi; lo sta facendo davvero, un impulso lo sta spingendo a rubare una borsetta in lurex. Allunga la mano, le signore lo guardano male. Fugge con il braccio levato al cielo, come se stesse improvvisando una coreografia.

Come vorrebbe che quelle mascherine, tutte quelle mascherine che vede in giro, prendessero a rincorrerlo, a cercare di acchiapparlo gridando al ladro! Solo per tornare all’azione, per sentirsi vivi, per illudersi un po’.

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La transumanza pasquale

Il decreto dice che non ci si può muovere. Che si deve stare in casa.

Però dice anche che per ragioni di lavoro si può viaggiare.

Viaggiare! Casa! Mi sento E.T., adesso lo capisco bene, lui in esilio nel nostro mondo, mentre il suo era lassù, chissà dove.

Il mio vicino vive da solo, ha una grossa villa e molti animali. Ho già visto cani, un pappagallo, un paio di oche, dei conigli, un cerbiatto. Una tartaruga, una scimmia. Quando va a fare la spesa porta spesso a casa qualcosa. Canarini, criceti, cose così. Si ferma sempre da “Marco natura viva” ed esce con qualcosa di vivo.

Gli dico, mesto e funesto, che Pasqua è alle porte, ma non posso tornare a casa, che se mi becca la polizia prende la chiave e la butta via. Allora il mio vicino si mette a ridere e se non sbaglio conosco quel tipo di riso: tradotto significa che io sono proprio un ingenuo e che ovviamente lui ha una soluzione a tutto e mi aiuterà, basta che riconosca la sua superiorità intellettiva, in qualche modo: umiliandomi, dicendogli che non ci avevo pensato. E così lo ammetto, prima che lui espliciti la sua risata, prima che mi faccia la sua proposta.

Ti posso dare la mia pecora Dolly, mi dice. Lui è fatto così. Ha un cane che si chiama Lassie, un gatto che si chiama Silvestro, un cavallo che si chiama Furia. Impara i nomi dai libri o dalla televisione o dai giornali e poi battezza le sue bestie.

Tu forse non sai la storia della pecora Dolly, mi dice, ma prima io che possa ribattere che la conosco anche troppo bene ricomincia. Penso che abbia bisogno di raccontare, pur sapendo che non è la prima volta.

pecora dolly

Anusu aveva un gregge. Le sue pecore coprivano interi prati, prati di lana gialla. Morirono tutte per un virus sconosciuto, nel giro di un paio d’ore. Tutti dissero che il flagello era arrivato perché Anusu era cattivo, ma un agnellino si era salvato quindi o quell’uomo non era completamente cattivo o le due cose non c’entravano niente, anche perché lui si professava cattivo al cento per cento. E infatti abbandonò l’agnellino sull’autostrada a luglio, per andare a Rimini. Nessuno si fermava, perché si sentiva sempre di cani abbandonati, non di agnelli abbandonati, per cui la cosa sembrava a tutti un po’ sospetta. Il mio vicino di casa venne a saperlo e andò a prendere l’agnello al casello, dentro un loculo del pagamento pedaggi, dove l’animaletto stava guardando un film insieme al casellante. L’animale fece un po’ di resistenza, forse perché voleva vedere la fine, ma il mio vicino disse che il protagonista alla fine moriva. L’agnello lo seguì, mentre il casellante tirò al mio vicino un tubo intonso di monete da un euro.

fine  Con questa pecora, dice il mio vicino, potrai tornare a casa. Dalla storia appena terminata, infatti, sono passati anni, l’agnello è diventato pecora e non si ricorda più né del film, né di come finisce.

Io continuo a fare la parte di quello che non ha capito, non solo per compiacere il mio vicino, ma perché effettivamente non ho capito. La transumanza, dice lui. Con la transumanza tu puoi spostarti, per ragioni di lavoro. La transumanza non si fa mica in dieci metri, bisogna portare le pecore lontano, tu non devi andare lontano? Io mi fido delle sue parole, non tanto perché ci creda davvero, ma per uno sciocco senso di speranza. E lui è pienamente appagato.

il mio vicino

E così eccoci, in macchina, Dolly ed io. Lei, ancorata con la cintura di sicurezza sul sedile anteriore, guarda i campi, gli alberi, con noncuranza. Ha un odore strano, ma evito di farglielo notare, anche se dalla sua parte ho provveduto ad abbassare completamente il finestrino. Facciamo la transumanza, le dico, così per fare due chiacchiere. Dolly mi guarda, anche lei con un’aria di superiorità. Mi guarda e mi dice beh…

Beh cosa – dico io – non sei contenta, che ti porto in giro? Sei sempre rimasta al tuo paesello, ora conoscerai il mondo! Dolly non ha voglia di parlare con me, però con la zampa mi indica, laggiù in fondo, una pattuglia della polizia, come se in un certo senso si rendesse conto del nostro piano e volesse farmi intendere che la storia della transumanza posso tenermela per i miei nipotini.

panda young

La polizia, che vede arrivare una panda young, ovviamente ci ferma. Ti prego Dolly, le dico, aiutami tu.  E infatti è lei a prendere l’iniziativa. Guarda un poliziotto fisso negli occhi. Dice: Beh?

L’altro poliziotto al mio finestrino mi dice: ehi nonnetto, andiamo a fare la scampagnata? Dico che è tempo di migrare, che vado sui monti del Tirolo. Prima che me la chieda gli consegno la carta d’identità: uno, per prevenire le mosse del nemico; due, per fargli vedere che non sono un nonnetto. Lui mi squadra e guarda il documento e poi mi dice che sembro più vecchio. Intanto con la coda dell’occhio vedo Dolly che fa la ruffiana e lecca la mano all’altro poliziotto. Ehi Antonio, dice quello, guarda un po’ qui. Ma Antonio non si lascia distrarre e vuole sapere il motivo della mia gita.

La transumanza, spiego. Le greggi si spostano di pascolo per migliorare il latte. Mi chiede dove sia il resto del gregge. Cos’è, non ci stava nella macchina? Ride da solo, fino a tenersi la pancia. Dico che le pecore sono morte tutte, cane pastore compreso, una triste storia. A questo punto l’altro poliziotto si sta facendo leccare la faccia. Guarda, Antonio, guarda! Certo che questi due si stanno divertendo un mondo.

Per quanto lo riguarda, Antonio mi dice che non ha intenzione di farmi passare, ma io gli ripeto che la transumanza è fatta per portare una o più pecore da un punto A a un punto B. allora lui va alla radio ad informarsi se una pecora può spostarsi da un punto A a un punto B. Poi mi chiede se ha qualcosa a che fare coi paradossi di Zenone.

Non penso, è l’animale del mio vicino e io sono il suo pastore, dico. Quello discute un po’ alla radio, mentre l’altro poliziotto sta intrattenendo Dolly con la filastrocca “Mi chiamo Enzo Lorenzo.”

Antonio mi riconsegna il documento. Monti del Tirolo, Dice? Sì, dico. Transumanza, dice? Transumanza, dico.

Patatona patatona, sta dicendo il poliziotto giocherellone a Dolly, mentre strofina il naso sul suo muso.

Dolly e il poliziotto

Antonio mi dice che è anziano, uno di esperienza, ne ha viste tante, fiuta l’imbroglio lontano un miglio e anche più, ma si è confrontato con i colleghi e ritiene che la mia storia se fosse solo stupida sarebbe falsa. Il problema è che oltrepassa di molto la stupidità per essere falsa. Richiama il collega e mi fa cenno di andare. Quello dice ciao Dolly, ciao Dolly, verrò a trovarti nel Tirolo. Sembra persino commosso.

Dico a Dolly, siamo stati forti. Eh, che siamo stai forti? Senti Dolly, per la cronaca niente monti. Per Pasqua ci fermeremo da mia mamma, in pianura.

Dolly sta masticando un ciuffo d’erba che gli ha donato lì per lì il suo poliziotto. Si gira verso di me e mi mostra dentro la bocca un impasto verde e bavoso. Poi deglutisce rumorosamente, si appoggia allo schienale e  chiude gli occhi. Sembra persino felice.