Io ti conosco. Sei un tennista con il gomito del tennista.
Desideri tanto raccontare in che modo hai reso il tuo ace invincibile negli anni. Raccontare di quando, bambino, piantavi i compiti a metà per esercitarti nel servizio. Di quando, adolescente, trascuravi le compagnie per migliorare il servizio. Di quando, durante il servizio militare, schiaffavi la palla al di là della rete con il calcio del tuo Garand. Di quando, durante la pausa del turno lavorativo, staccasti le palle dell’albero di Natale del tuo capo, usando il regalo destinato al suo figlio di sei anni, una piccola racchetta di plastica. E crac, crac, le palle si schiantavano sul mese di gennaio appeso dietro la scrivania. Il tuo servizio – ricordi? – era talmente perfetto che tutte le palle si accartocciavano sul giorno sette, quello del tuo licenziamento. Quanti cari ricordi vorresti mettere su carta, ma tutte le volte che ti attacchi alla tastiera del pc il tuo gomito ti ricorda che non ce la farai mai.
E poi, non si può mica solo raccontare che finivi sul sette gennaio. Devi anche descrivere la tecnica che avevi ideato, e che volevi brevettare. Il giro del polso, prima un quarto in senso antiorario e dopo quattro decimi di secondo l’inversione. Mezzo giro in senso orario. Con la pallina che schizzava via e sembrava dapprima tornare verso di te, per un inspiegabile senso di gratitudine. Gratitudine o semplice effetto che le imprimevi? No no, proprio gratitudine, perché in un modo che non sai spiegare, sapevi che quella pallina era una pallina felice, perché nelle partite al club il tuo servizio era diventato un mito. Quello per tutto il mondo era ormai il club dell’ace di Aldo.
Quante palline tristi intorno a te! Ma ai tuoi piedi, le dunlop gialle pigolavano. Prendimi, prendimi! Tu le lanciavi con un giro di polso maestro e loro partivano, conoscendo nell’ordine rimpianto, gratitudine, gioia, esultanza. Passavano la rete, un millimetro sopra e quasi munite di vita propria cercavano uno spazio vuoto che nessuna racchetta avversaria avrebbe mai intercettato. Lo conquistavano a una velocità impossibile, lo baciavano e poi via, verso il cielo, per poi planare su un tavolo, nel bel mezzo di una partita di briscola a coppie.
Vorresti scrivere, nonostante il gomito.
Vorresti esordire con: Mi chiamo Aldo e nell’ace sono imbattibile. Nemmeno Djokovic ci arriverebbe. Ma poi ti fermi, perché non sai come si scrive Djokovic, ma soprattutto perché mentre afferri la biro il tuo gomito ti dice che non arriverai sano al secondo capoverso.
Ecco perché esiste il fantasma Robialquadrato. Si prenderà il tempo necessario per scrivere tutti i nomi più difficili e le storie più entusiasmanti, le tue storie sul tennis, lasciandoti tanto tempo libero per una visita presso il medico di base e lo specialista e per le sedute di fisioterapia.
Così potrai tornare a rovinare le partite di briscola e per farti perdonare regalerai un libro, il libro che Robialquadrato avrà scritto per te. Si chiamerà Djokovic sta perdendo il set, perché nel libro sarai lanciato verso una gloria che solo pochi sanno apprezzare. La gloria che meritano i tuoi ace e la tua storia di tennista.